Il Cilento è quella sub-regione che chiude a sud la provincia di Salerno e che dal 1991 – con la legge 397 – è quasi per intero confluita nel Parco nazionale del Cilento e del Vallo di Diano. Tra monti, colline, spiagge e mare si ha la possibilità di godere dell’incomparabile e lussureggiante natura che la sempreverde Campania felix offre a residenti e turisti. Basti pensare che ogni anno a questo territorio viene assegnato un così elevato numero di Bandiere blu da renderlo un caso unico in Italia; inoltre, sin dal 1997, il Cilento è stato inserito nella prestigiosa Rete mondiale di riserve di biosfera dell’Unesco.
Il Cilento è, dunque, un territorio affascinante per le ragioni già dette (la natura), per la storia e la cultura (Paestum, Elea, Palinuro, Padula), per i prodotti tipici e per l’ospitalità.

POLLICA-ACCIAROLI — Il Comune di Pollica è compreso nella perimetrazione di uno dei più grandi Parchi Nazionali Italiani.
Il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano occupa la parte meridionale della provincia di Salerno a contatto tra regione Campania e regione Basilicata.
Il Parco si affaccia sul mare Tirreno, nella costa occidentale d’Italia, e, per la particolare conformazione della penisola italiana, occupa una posizione baricentrica rispetto all’intero bacino mediterraneo.
Esso è costituito da ambienti costieri, montani e vallivi che si estendono su una superficie di circa 180.000 ettari, entro limiti geografici determinati: il tratto del mar Tirreno compreso tra il golfo di Salerno e il golfo di Policastro lo contorna da ovest a sud, il corso del fiume Sele lo limita a nord e l’ampia depressione del Vallo di Diano lo chiude ad est.
Tale territorio, iscritto nella lista Unesco del patrimonio mondiale dell’umanità ed elevato a riserva di Biosfera MaB, Man and Biosphere, si caratterizza per una ricchezza eccezionale di habitat e vegetazioni e un elevato grado di diversità biologica delle specie.
Si presenta come un unicum paesaggistico, un “paesaggio vivente”, crocevia millenario di popoli e civiltà, luogo di soglia e contaminazione tra ecosistemi e culture euromediterranee. Esso realizza l’incontro tra mare e montagna, Atlantico e Oriente, tra culture nordiche e africane.
Un paesaggio evolutivo prodotto dell’azione millenaria di agenti sociali, economici e spirituali di diversa origine in associazione e risposta all’ambiente naturale; posto al centro del Mediterraneo, ne è il Parco per eccellenza, perché come questo mare, è luogo di millenaria compenetrazione tra l’antropico e il naturale e di molteplici incontri di civiltà.
Il Comune di Pollica ricade nell’area del monte Stella, la cui caratteristica forma a cuspide sovrasta gli approdi di Agropoli, punta Licosa, Velia e la via interna del Vallo.
Tale elemento orografico struttura l’organizzazione territoriale: la montagna sacra, col santuario dedicato alla Vergine che ne occupa la vetta, rappresenta un simbolico incontro tra terra e cielo.
Il monte si caratterizza per un fitto sistema di borghi medioevali disposti a corona sulla mezza costa e per una forte individualità geografica, storica e antropologica: il Cilento Antico.
Dai templi di Paestum alle rovine di Velia, città di filosofia e medicina, ai vanvitelliani andri della Certosa di Padula, dalle vertigini delle falesie costiere alle gole interne, dalle caverne permeate dai resti dell’uomo del paleolitico al mistero delle sculture rupestri, dai cenobi basiliani ai boschi vetusti, dai templi alle fortezze costiere, da Parmenide e Gian battista Vico ai culti vivi delle pietre del monte Stella, dalle sirene ai briganti, dal mito di Palinuro ai saraceni, dai moti rivoluzionari alle congiure, dalle peregrinazioni degli Argonauti alle vallate di orchidee selvagge e alle grotte dei culti dell’acqua, il Cilento rappresenta per il visitatore un itinerario unico d’emozione e memoria.
Il territorio ampio, in cui ricade il Comune di Pollica, compone uno straordinario mosaico di grandi valenze culturali e naturali, oggi patrimonio dell’umanità.[fonte: http://www.comune.pollica.sa.it]
AGROPOLI — Il promontorio su cui sorge Agropoli vide la presenza dell’uomo fin dal neolitico, ma solo nelle successive età del bronzo e del ferro fu abitato, come sembra, in modo stabile e continuo da popolazioni indigene dedite alla caccia e alla pesca.
Dato che ad est del promontorio, alla foce del fiume Testene, detto in antico Foce , si apriva una riparata baia naturale, oggi quasi interamente insabbiata, i Greci prima e dopo la fondazione della vicina Poseidonia (circa 625 a.C.) la utilizzarono per i loro traffici con le popolazioni locali, chiamando il promontorio con vocabolo greco PETRA ed edificando su di esso un tempio dedicato ad Artemide, dea della caccia.
In età romana sul litorale dell’attuale S. Marco, ad oriente del promontorio ed alla destra del Testene, si sviluppò un borgo marittimo chiamato ERCULA, che fiorì, come è stato accertato, tra il I sec. a.C. ed il V d.C., allorché il porto della vicina Poseidonia (allora detta dai Romani Paestum) subì un processo di progressivo insabbiamento a seguito del bradisismo litoraneo.
Quando, nel corso del V secolo, le incursioni dei Vandali provenienti dall’Africa resero difficile la vita ad Ercula , i suoi abitanti si ritirarono sul prospiciente promontorio, che offriva maggiori possibilità di difesa.
Nel corso del VI secolo poi, svolgendosi la guerra greco-gotica (535-553), i Bizantini ebbero necessità di un approdo sicuro e protetto a sud di Salerno e, pertanto, fortificarono questo sito, dando ad esso il nome di ACROPOLIS, cioè di città posta in alto .
Verso la fine del VI secolo l’invasione longobarda costrinse il vescovo di Paestum a rifugiarsi ad Agropoli, che divenne allora non solo sede di vescovado ma anche il centro principale dei superstiti territori bizantini della Lucania tirrenica.

Agropoli rimase in mano ai Bizantini fino all’882, quando la cittadina cadde in potere dei Saraceni, che vi crearono una temibile base fortificata, un ribât secondo la voce araba, e da qui si sparsero a depredare e terrorizzare i territori circostanti fin sotto le mura della stessa Salerno, finché nel 915, scacciati dal campo trincerato che essi nel frattempo avevano costituito al Garigliano, fu sgombrata pure Agropoli, che tornò sotto la giurisdizione dei vescovi, che in quel periodo avevano stabilito la loro sede a Capaccio.
Da allora tutta la restante storia medioevale della cittadina si svolse sotto la tutela dei vescovi, che possedevano anche il vasto territorio comprendente i centri abitati di Eredita ed Ogliastro, oltre che gli scomparsi villaggi di Lucolo, Mandrolle, Pastina, S.Marco di Agropoli e S.Pietro di Eredita . Questo vasto comprensorio formava il Feudo di Agropoli, che, concesso ai vescovi di Capaccio in epoca normanna, fu da essi posseduto, eccetto brevi periodi, fino ai primi decenni del XV secolo. Infatti nel 1412 i feudi ecclesiastici di Agropoli e Castellabate furono ceduti dal pontefice Gregorio XII al re Ladislao di Durazzo (1386-1414) come parziale pagamento di alcuni debiti di guerra. Ancor prima, però, che la Corona ne entrasse formalmente in possesso, come di fatto avvenne nel 1443, il re Alfonso d’Aragona il 20 luglio 1436 concesse i feudi di Agropoli e Castellabate a Giovanni Sanseverino, conte di Marsico e barone del Cilento, con l’obbligo di pagare al vescovo di Capaccio un’annualità di 12 once d’oro.
I primi dati statistici su Agropoli risalgono al 1445, quando la cittadina, compresi i villaggi dipendenti, contava in tutto 202 fuochi , corrispondenti al altrettanti nuclei familiari.
Con alterne vicende, tra le quali va ricordato il temporaneo trasferimento (1505-1507) a Rodrigo d’Avalos marchese di Vasto, Agropoli ed il suo feudo fu tenuto dai Sanseverino fino al 1552, allorché il principe Ferrante, ultimo rappresentante di questa famiglia, accusato di tradimento, fu costretto a rinunciare a tutti i suoi possedimenti.

Agropoli successivamente passò ai D’Ayerbo d’Aragona (1553), ai Grimaldi (dopo il 1564), ai Filomarino principi di Roccadaspide (1626), ai Mastrillo (1650), temporaneamente agli Zattara ed, infine, ai Sanfelice duchi di Laureana (1660), che tennero la cittadina fino all’abolizione della feudalità (1806).
Agropoli fu particolarmente colpita dalle incursioni barbaresche del XVI e XVII secolo, che la spopolarono al punto da ridurne gli abitanti a solo qualche centinaio. Particolare menzione meritano il saccheggio che subì il 21 aprile 1544, quando furono catturate circa 100 persone, e quello del 30 giugno 1630, in cui gli Agropolesi con l’aiuto di una folta schiera di Cilentani respinsero l’assalto di 700 corsari turchi, che tuttavia riuscirono a portar via sulle navi un notevole bottino e molti prigionieri, ma furono decisamente sconfitti, lasciando anche diversi morti sul terreno.

Oggi la cittadina di Agropoli, che solo nel corso dell’Ottocento incominciò ad espandersi oltre il perimetro delle mura medioevali, conserva intatto il centro antico e gran parte del circuito delle mura difensive col portale seicentesco d’ingresso. Sul vertice del promontorio resta il castello angioino-aragonese (su impianto bizantino di VI sec.), mentre ad ovest dell’attuale porto turistico s’innalza a picco sul mare la torre costiera (XVI sec.) detta di S. Francesco, accanto ai resti rimaneggiati dell’omonimo convento. Nell’Antiquarium comunale sono raccolti notevoli reperti archeologici, che documentano la storia dei luoghi dalla preistoria all’età medioevale.[http://www.cilentocultura.it]
ASCEA — Rinomata cittadina turistica insignita della Bandiera Blu include nel suo territorio:

un’area marina con una spiaggia sabbiosa e granulosa lunga 5 km;
una scogliera ricca di cale , falesie, grotte ed insenature come la “Baia d’Argento” e la “Baia delle rondinelle” dai limpidi fondali;
un’entroterra che partendo da Ascea capoluogo ed attraversando le frazioni di Terradura, Catona e Mandia, si incontrano panorami mozzafiato da dove lo sguardo spazia sull’incantevole Golfo di Velia , uliveti e castagneti;
l’area archeologica di Elea-Velia (dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO ed inclusa nell’elenco dei Grandi Attrattori Culturali della Regione Campania) l’antica città fondata dai Focei nel VI – V sec. a.C., patria di Parmenide e Zenone che furono i “precursori “ della cultura occidentale e sede di una rinomata Scuola Medica dalla quale trae origini quella Salernitana.

Ascea, posta al centro del Golfo di Velia tra Punta Licosa e Capo Palinuro, è uno di quei paesi baciati dal Signore.

Nel suo territorio troviamo:

– la montagna ricca di boschi di castagni e lecci;
– la collina punteggiata di ulivi secolari;
– la pianura con i suoi 5 Km. di arenile costituito da una sabbia a granulometria grossa, sempre soffice e pulita perchè priva di polveri;
– il mare limpido e cristallino;
– la scogliera incontaminata con le sue cale, falesie, spiaggette e le baie: della Rondinelle e d’argento raggiungibili solo con le barche;
– il sito archeologico di ” ELEA – VELIA ” con i resti dell’antica città, faro della civiltà e dell’intera cultura occidentale.

[http://www.prolocoascea.it]
CAMEROTA — L’origine del nome Camerota deriva dal greco antico Kamarotòn, che significa “volta”, “fatto a volta” e si potrebbe riferire sia alle camere a volta delle abitazioni della cittadella, sia alle grotte naturali esistenti nella zona. L’origine greca del nome fa presumere che Camerota sia stata fondata dai Greci quando colonizzarono il meridione d’Italia, cioè tra l’VIII e il VII secolo a.C.. La cittadella poi si sviluppò intorno ad un castello fortificato negli anni 535-553, quando imperversava la guerra gotico-bizantina che produsse l’afflusso in zona di numerosi profughi. Vi si accedeva attraverso tre porte: porta di Suso (unica attualmente ancora visibile), porta di S. Maria e porta di S. Nicola, che venivano aperte ad orari stabiliti con tre chiavi d’argento. Il paese venne occupato dai Saraceni dall’868 al 915. Il castello di Camerota era nel 909 la seconda roccaforte del Cilento, assieme ad Agropoli. Il castello marchesale fu uno dei 150 Munita Oppida. Con la dominazione angioina, dal 1266 al 1442, gli antichi signori dei feudi locali vennero sostituiti possesso dei feudi con cavalieri francesi. Nel luglio 1552 una potente armata turca, comandata dal generale Rais Dragut, assalì il castello danneggiandolo gravemente. Nello stesso anno, però, il marchese Don Placido de Sangro fece ricostruire il castello e la torre “Laiella”: le incursioni marittime erano frequenti nella costa tirrenica, così la Regia Corte decise di fortificare tutte le coste del Regno con torri ben visibili l’una dall’altra. Le costruzioni iniziarono nel 1563 e vennero completate nel 1601. Quasi contemporaneamente alla costruzione delle torri venne fondato a Camerota il Convento dei Cappuccini. Durante le guerre mondiali Camerota offrì un considerevole contributo di sangue per la Nazione. Prima, durante e dopo le due tragiche guerre mondiali a Camerota si sviluppò un forte movimento migratorio verso i paesi dell’America Latina.

[www.comune.camerota.sa.it]
CASAL VELINO — Il borgo di Casal Velino che si trova adagiato su una collina lussureggiante è tra i più suggestivi e integri del Cilento costiero. La sua origine antichissima è legata, soprattutto, alle vicende dello spopolamento dell’antica città di Elea-Velia, infatti numerose sono le tracce esistenti che collegano questo borgo all’antica città di Parmenide e Zenone. La prima volta che troviamo menzionato l’abitato con il nome di Casalicchio risale al 1063. Università autonoma fino alla sua elevazione a capoluogo di Comune l’8 agosto 1806. Successivamente, si stabilì di sostituire alla denominazione Casalicchio quella di Casal Velino. Il R.D. n. 249 venne in data 18 maggio 1893.

La tradizione vuole che il borgo di Casal Velino sia sorto quando gli abitanti della pianura dei villagi di S. Matteo ad duo flumina, S. Giorgio e S. Zaccaria che costituivano il territorio di Casalicchio per sfuggire e difendersi dalle incursioni saracene e, soprattutto, contro l’anofele malarigeno che, ancora nei primi del ‘900, infestava la piana di Velia abbandonarono i villaggi per formare sulla collina l’abitato di Casalicchio. Lo splendore e la ricchezza del borgo sono dovuti da sempre alla coltura dell’ulivo, del fico bianco del Cilento e dell’allevamento caprino, ovino e bovino.

[http://www.prolococasalvelino.it]
CAPACCIO-PAESTUM — I TEMPLI – Le rovine di Paestum rimasero nascoste tra boscaglie e paludi fino alla metà del XVIII secolo, quando la costruzione della strada verso Sud, voluta da Carlo III, le riportò nuovamente alla luce. Gli scavi iniziati nel 1907 hanno consentito la scoperta di significativi monumenti e reperti di vario genere: la cinta muraria, il Foro, l’Anfiteatro, abitazioni, complessi termali e tanti altri resti. Particolarmente significativi i tre templi dorici situati nell’area sacra al centro della città.
LA CINTA MURARIA – La cinta muraria di Paestum rappresenta uno dei più grandiosi e meglio conservati sistemi di fortificazione delle città della Magna Grecia. Si sviluppa per quasi cinque chilometri, con uno spessore medio di cinque metri, assumendo la forma di un pentagono. In corrispondenza dei quattro punti cardinali si aprono quattro grandi porte: a est Porta Sirena, a ovest Porta Marina, a nord Porta Aurea e a sud Porta Giustizia. Le mura sono rinforzate da torri a pianta circolare, semicircolare e quadrata e sono attraversate da numerosi piccoli varchi (le cosiddette postierle), usati forse come uscita di emergenza o per poter raggiungere velocemente la campagna circostante.
LA BASILICA – Il più grande e il più antico dei tre templi dorici risale alla metà del VI secolo a.C. Poiché la sua struttura non rispettava i canoni dell’architettura sacra, gli archeologi del Settecento lo scambiarono per un edificio pubblico profano e gli diedero quindi il nome di Basilica. Il rinvenimento al suo interno di un altare a di altri significativi reperti ha, però, permesso di attribuire il tempio alla dea Hera. Il tempio, di stile dorico, è periptero ha cioè le colonne su tutti i lati (18 sui lati lunghi e 9 sulla facciata). Le colonne della Basilica presentano alla sommità un diametro sensibilmente inferiore rispetto a quello della base e sono caratterizzate da un’entasi, cioè un rigonfiamento del fusto, a circa metà dell’altezza. I capitelli presentano una corona di foglie bacellate nella parte bassa; altri, nel lato occidentale, sono decorati anche da una fascia raffigurante palmette e fiori di loto. La cella, preceduta da un caratteristico pronao (portico con colonne tipico dei templi greci), era divisa in due navate da una fila di colonne; dal fondo della cella si accedeva all’adito. L’altare, lungo quanto la fronte del tempio, si trova a est. Dell’aspetto esterno del fregio e delle parti in pietra della cornice e dei frontoni non si sa molto, mentre sono pervenuti molti elementi del rivestimento in terracotta delle parti più alte della Basilica.
IL TEMPIO DI NETTUNO – Vicino alla Basilica, su una lieve altura, sorge il più bello e il meglio conservato dei tre templi dorici: il Tempio di Nettuno. Il monumento risale alla metà del V secolo a.C. ed è tuttora noto come Tempio di Nettuno anche se si sa che non era dedicato a Posidone. Gli oggetti rinvenuti hanno infatti permesso di stabilire che l’edificio era dedicato ad Hera Argiva, dea della fecondità e della maternità. Il tempio è di tipo periptero e presenta 6 colonne sulla facciata e 14 sui lati lunghi. Le colonne, alte quasi 9 metri, sono rastremate in alto e presentano un rigonfiamento a metà del fusto; queste sono caratterizzate da 24 scanalature invece delle canoniche 20. Sull’abaco (mensola che completa il capitello) poggia l’architrave decorato da una fascia sporgente. La parte superiore, caratterizzata da frontoni triangolari, costituisce il tipico fregio dorico. Il tetto, oggi crollato, era costituito da un soffitto ligneo interno e da un tetto coperto da tegole di terracotta. Importanti per la datazione del tempio sono alcuni accorgimenti come la leggera curvatura della scalinata, l’inclinazione verso l’interno, appena percettibile, delle colonne e la leggerissima curvatura verso il basso della trabeazione delle due fronti. All’interno, un alto gradino segna il passaggio dal prònaos (il vestibolo anteriore), composto da due colonne tra pilastri, alla cella (il nucleo del tempio destinato a custodire il simulacro divino). La cella, sopraelevata, è divisa in tre navate. Contrapposto al prònaos vi è l’opistòdomos (vestibolo posteriore). Davanti al tempio ci sono i resti di due bòmoi per sacrifici. Sulla sinistra del tempio sono stati rinvenuti i resti di due altari, numerosi cippi e un piccolo tempio.
IL FORO – Seguendo dalla fronte del Tempio di Nettuno un sentiero verso nord, si raggiunge l’area del Foro che risale ad un periodo successivo all’insediamento della colonia latina (273 a.C.). Il Foro di Paestum è uno tra i più antichi e dinteressanti Fori rettangolari dell’epoca romana. Il piazzale è circondato da un porticato con colonne doriche, mentre gli elementi della trabeazione sono quasi completamente scomparsi. Il Foro aveva intorno una serie di edifici pubblici e numerose botteghe. Il lato sinistro del Foro inizia con una serie di tabernae cioè di botteghe alle cui spalle si sviluppa una serie di locali, destinati a terme pubbliche, costruiti ad opera di Marco Tullio Venneiano nella prima metà del III secolo d.C. Nel portico meridionale è stata rinvenuta una statua in bronzo raffigurante il sileno Marsia, simbolo della libertà. Sul lato meridionale del Foro, dopo alcune botteghe e un edificio quadrato nel quale si è riconosciuto il Macellum (mercato di generi alimentari), si trova un edificio rettangolare comunicante col precedente e con ingresso principale sul Foro: la Curia (caratterizzata come tale da un suggestum, cioè tribuna oratoria). Questo edificio con muri scanditi da semicolonne che inquadrano delle nicchie e i vani di accesso, fu edificato tra il I e il II secolo.
IL FORO ITALICO – Al centro del lato lungo settentrionale, il portico del Foro si interrompe in corrispondenza dell’edificio noto come Tempio Italico, progettato intorno al 273 a.C. Il tempio è innalzato su un alto podio e vi si accede da una scalinata sul lato sud che è preceduta da un semplice altare rettangolare. L’edificio era circondato da un colonnato (6 colonne sulla fronte e 8 sui lati lunghi) sormontato da capitelli corinzi decorati con 4 grandi volute e da altrettante teste femminili. Le colonne sostenevano una trabeazione di ordine dorico. La parte interna dell’edificio, delimitata dalle colonne, conteneva la cella, divisa in tre ambienti, per questo si pensò alla consacrazione del tempio alla triade capitolina (Giove, Giunone e Minerva).
ANFITEATRO ROMANO – Presso il Foro è situato l’Anfiteatro romano a terrapieno con un muro di terrazzamento. La costruzione risale all’età tardo-repubblicana ma subì delle modifiche nel II secolo d.C e nel 1829 fu tagliata in due dalla strada. La cavea ha uno sviluppo ridotto e l’arena non è molto ampia. L’Anfiteatro aveva tre ingressi dall’esterno alla platea (oggi se ne vedono solo due).
IL SACCELLO IPOGEO – Un recinto arcaico, costeggiato dalla Via Sacra, circonda il Sacello ipogeo costruito alla fine del VI secolo a.C. Questo monumento è un cenotafio a forma di tomba a camera, costruito con blocchi di calcare e con una copertura a doppio spiovente, costituita da lastre calcaree ricoperte da tegole d’argilla. L’ingresso è scavato nella roccia e fu usato solo una volta per deporvi il ricco corredo (costituito da idrie e anfore), attualmente esposto nel Museo, e subito dopo fu murato dall’esterno. L’interno è decorato di fine stucco bianco.
IL TEMPIO DI ATENA – Lungo la Via Sacra sorge il Tempio di Atena, noto anche con il nome di Tempio di Cerere. Questo monumento, costruito alla fine del VI secolo a.C., è il secondo in ordine cronologico e il più piccolo dei tre templi dorici. Il Tempio di Atena, poggiato su un basamento di tre gradini, doveva trovarsi al centro di un piccolo santuario, del quale ci sono pervenuti l’altare con il pozzo sacrificale, le fondazioni di altri due altari e colonne votative. È di tipo periptero e conserva tutte le colonne originali (6 sui lati corti e 13 sugli altri). Le colonne poggiano su uno stilobate preceduto da due gradini; nonostante un certo rigonfiamento, si presentano strutturalmente più snelle e con un echino abbastanza schiacciato. I capitelli del colonnato dorico esterno sono decorati da corone di foglie in rilievo. La cella, all’interno dell’edificio, si trova su un alto basamento e in origine era preceduta da un porticato sostenuto da 8 colonne ioniche. Si riscontrano, inoltre, i resti di due scale che portavano alle zone alte della cella.
HERAION (MONUMENTO FUORI LE MURA) – L’Heraion è uno dei più famosi santuari della Magna Grecia. L’edificio fu costruito nel VI secolo a.C. sul Sele, a 9 chilometri da Paestum. Al centro del santuario era posizionato il tempio maggiore, dedicato ad Hera Argiva, circondato da tempietti minori. In questo santuario sono stati rinvenuti significativi reperti, ora conservati nel Museo di Paestum.
TORRE DI PAESTUM (MONUMENTO FUORI LA MURA) – La Torre di Paestum è una rozza costruzione a tronco di cono con merlatura su sporti. L’interno è diviso in due ambienti sovrapposti; è possibile accedere all’ambiente superiore tramite una scala esterna; un’altra scala conduce alla terrazza da cui si può godere uno splendido panorama.
NECROPOLI PREISTORICA DI GAUDO (MONUMENTO FUORI LE MURA) – Nel 1943, nei pressi della Masseria Gaudo, fu scoperta una vasta necropoli preistorica. Successivi scavi hanno portato alla luce numerose tombe a forno ricavate nel calcare, attribuibili a popolazioni dell’Asia Minore. Inoltre sono stati rinvenuti numerosi altri reperti (vasi, brocche, bicchieri, armi di selce e di rame), ora conservati al Museo di Paestum.
CAPACCIO VECCHIA – Luogo di notevole interesse è quello che conserva le rovine di Capaccio Vecchio in posizione elevata dominante la piana di Paestum; sul posto sono visibili i ruderi del Castello.

[http://http://www.capaccio.it]
PALINURO-CENTOLA — Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476), la tribù barbara degli Ostrogoti occupò gran parte dell’Italia del Sud, compresa la città della Molpa. L’imperatore Giustiniano d’Oriente, rimasto l’unico padrone dell’Impero Romano, per scacciarli inviò in Italia il generale Belisario. Così, nel 547, Belisario,con lo scopo di liberare la Molpa dagli Ostrogoti, saccheggiò e incendiò la città, distruggendola e costringendo i superstiti alla fuga. Alcuni dei superstiti, in numero di cento, raggiunsero le colline e si stabilirono ai piedi della montagna delle Fontanelle, in un posto riparato e sicuro, detto Vallone. Dal numero dei fuggitivi che diedero vita al nuovo nucleo abitativo, questo luogo fu chiamato ‘Centula’.
Centola nacque sotto la dominazione bizantina di Giustiniano ma, dopo appena undici anni, passò sotto la dominazione longobarda; vide poi susseguirsi le dominazioni dei Normanni, degli Svevi, degli Angioini, degli Aragonesi, degli Spagnoli e dei Borboni.
Durante il periodo longobardo Centola si ingrandì notevolmente e il suo sviluppo avvenne intorno alla Badia di Santa Maria degli Angeli, della quale oggi non resta più nulla. La Badia sorse come eremo fra il 515 e i 530 ad opera di monaci basiliani. Divenne Badia nel 750 e i suoi monaci continuarono a seguire la regola di San Basilio, la quale voleva che alla preghiera si unisse il lavoro. Pertanto crearono scuole, orfanatrofi, ospizi, un mulino, un frantoio, un monte di credito, , vaste piantagioni di ulivi e una biblioteca ricca di manoscritti, svolgendo così un ruolo di guida sia nella vita spirituale che nella vita sociale di Centola.
Successivamente, fino al periodo del Risorgimento, abbiamo poche notizie che riguardano Centola. Intorno al 1250, durante il periodo svevo, Centola divenne ‘Universitas’. Allora il termine ‘Universitas’ non indicava un istituto di cultura ma il complesso di persone che formano una comunità. L’ ‘Universitas’ di Centola godeva di una sua autonomia amministrativa, aveva un suo Statuto, un ‘Sindicus’ eletto dai cittadini, un proprio giudice, un ‘baglivo’ che amministrava la giustizia e un ‘baiulo’ al quale erano affidate le terre demaniali. Inoltre ricordiamo che Centola, la Molpa e Palinuro furono più volte attaccate e saccheggiate da pirati turco-saraceni provenienti dal mare. Per difendersi dalle scorrerie di questi pirati, fra il 1550 e il 1600, furono realizzate lungo la costa del Comune una serie di torri, tutte ancora in buone condizioni: il Fortino, la torre del Capo, la torre Formica, la torre Mozza o del Monaco, la torre del Mingardo, la torre di Calafetente e quella di Chianofaracchio.
Il Risorgimento – Nel 1828 gli abitanti di Centola parteciparono alla rivolta del Cilento del 1828. La rivolta iniziò la notte tra il 27 e il 28 giugno 1828 col disarmo della Guardia Urbana di Centola. Gli insorti proseguirono poi per Palinuro con lo scopo di impossessarsi di 1500 fucili, 12 cannoni e numerose munzioni custoditi nel Fortino. Trovarono solo qualche fucile e della polvere avariata: i Borboni, avvisati da qualcuno, avevano fatto portare via tutto l’arsenale. I ribelli non si persero d’animo, raggiunsero la piazza di Palinuro e lessero ‘Il Proclama di Palinuro’, un manifesto in cui reclamavano una costituzione capace di garantire la libertà e la giustizia sociale. Da Palinuro proseguirono poi per Foria ed altri paesi dei dintorni. La rivolta non ebbe esito positivo, fu crudelmente domata dal maresciallo Del Carretto, inviato dal re Francesco I di Borbone. Tra i condannati ci furono Pasquale D’Urso, Filippo Passarelli e Tommaso Imbriaco di Foria.

[http://http://http://www.comune.centola.sa.it]
PERDIFUMO — Il territorio si estende alle falde nord-occidentali del complesso montuoso del M. della Stella ed è caratterizzato da una morfologia collinare frastagliata a nord della dorsale di Punta della Carpinina (688 m.) che lo delimita nel settore meridionale. Questa si estende verso nord-ovest, attraverso le località Sant’Arcangelo (528 m.) e Ariola (407 m.) e termina con il Cozzo del Cafaro (379 m.).
Una dorsale minore interna, comprendente Cozzo Tonno Pizzuto (342 m.), lo divide in due settori appartenenti a bacini idrologici di discreta estensione, che hanno come tributari il fiume Testene a settentrione e il Rio dell’Arena a meridione.

Come raggiungerci: Per chi proviene dall’autostrada Salerno-Reggio Calabria uscire al casello di Battipaglia, prercorrere la SS.18 direzione Vallo della Lucania uscita Agropoli Sud. Proseguire per Castellabate, a metà percorso sulla sinistra vi è segnalata la direzione per Perdifumo, raggiungibile in breve tempo percorrendo strade interpoderali.
La stazione ferroviaria più vicina è quella di Agropoli, linea Salerno-Reggio Calabria.
Autolinee pubbliche Salerno – Battipaglia – Vatolla – Mercato Cilento.

Estensione 23,67 kmq
Altitudine max 784 m. – min 126 m.

Altitudine località:
Perdifumo 425 m., Camella 410 m., Mercato Cilento 630 m., Vatolla 440 m., S. Pietro 126 m

Capoluogo: Perdifumo
Frazioni: Camella, Mercato Cilento, Vatolla

Distanza dal capoluogo: Camella 1 km, Mercato Cilento 4 km, Vatolla 8 km

Distanza di Perdifumo da Salerno: via Litoranea 65 km – via Statale 75 km

Popolazione 1866 ab. Densità 79,8 ab./kmq

[comune.perdifumo.sa.it]
VALLO DELLA LUCANIA — L’antico nome di Vallo della Lucania era, secondo lo storico Giuseppe Maiese, Castrum Cornutum, dal luogo di origine dei suoi fondatori, che, provenienti da Cornutum, città della Dalmazia, vi giunsero non più tardi del secolo IX. Se la prima menzione sul Casale dei “Cornuti” risale a due pergamene del secolo XIII, ritrovate nella Badia di Cava, già un documento del 1052 – come evidenzia l’Ebner – parla di un “loco cornito”, che, per le caratteristiche di nodo viario accessibile e di fiorente polo di sviluppo economico, è residenza di un funzionario longobardo, delegato dal governo centrale nell’amministrazione politico-giuridica-militare della zona. Al suo nome – Castrum Cornutorum – appare verosimile, secondo il Rossi, sia collegato l’appellativo carniculari attribuito ai capi del presidio romano, funzionari nell’amministrazione periferica.

In realtà Vallo era costituita da due casali – Spio e Cornuti (o Vallo) – divisi da un fiume attraversato da due ponti, poi ricoperto nel tratto antistante il Municipio, nell’odierna piazza Vittorio Emanuele. Lo sviluppo del borgo (costituito da una serie di fondi rustici, appartenenti ai signori della baronia di Novi) si ebbe, alla fine del secolo XV, quando esso passò sotto il dominio della Santa Casa dell’Annunziata di Napoli. Dopo il secolo XVI, durante il quale si registrò una continua ascesa economico-sociale, nel corso del 1600, nonostante le continue carestie e la peste che aveva distrutto intere popolazioni, Spio e Cornuti assestarono il loro ruolo di rilievo nell’ambito dello Stato di Novi.

Nel secolo XVIII il paese mutò il nome originario in Vallo di Novi e in seguito Vallo. In quest’epoca raggiunse la sua massima prosperità grazie alla lavorazione della seta e del cuoio. Con queste attività e con l’istituzione del mercato, Vallo divenne un centro ricchissimo, e poté salvarsi dalle varie carestie che si susseguirono in quel secolo, tra cui quella, tremenda, del grano del 1764. Per opera del clero, sul finire del secolo XVIII, assunse il ruolo di fiorente centro culturale, con la fondazione di scuole di teologia, filosofia e grammatica. Dal 1811 al 1860 divenne capoluogo dell’omonimo distretto del Regno delle Due Sicilie; nel 1808 – per volere di Gioacchino Murat – i Casali di Massa, Angellara e Pattano furono annessi al Comune di Vallo, nato dall’unificazione dei due storici casali, come rappresentato nello stemma del comune, che raffigura nella parte superiore un cuore squarciato da due mani (Corinoti), e in quella inferiore una torre con sentinella (Spio).

Nel 1809 furono istituite le scuole pubbliche, e Vallo fu elevata a sede di Sottointendenza e di Consiglio Distrettuale. Nel 1850 fu inaugurato il Tribunale circondariale e nel 1851 vi si stabilì l’omonima Diocesi. A partire dai moti del 1820-21, passando per quelli del 1828 e del 1848, fino all’epopea garibaldina, Vallo della Lucania rappresentò l’anima e il centro propulsore di ogni iniziativa patriottica e rivoluzionaria.

Dal 1860 al 1927, durante il Regno d’Italia è stato capoluogo dell’omonimo circondario. Dopo l’Unità d’Italia, si registrò una lieve crisi economica, dovuta alla forte crescita demografica, al non sempre fiorente andamento del settore commerciale e dell’artigianato, alla difficoltà dei piccoli coltivatori di sostenere la pressione del latifondo. Tutto ciò favorì l’esodo dei cittadini vallesi verso il continente americano, ormai meta agognata e sogno di buona parte della gioventù cilentana. Questo fenomeno, eccetto nella parentesi di forzata interruzione del periodo fascista, durerà fino agli anni sessanta.

Oggi, Vallo della Lucania, insignita recentemente del titolo di città con un decreto del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, con le frazioni di Massa, Angellara e Pattano, conta un numero di abitanti pari a 8.855 unità, e si può definire come il centro commerciale e di servizi più importante del Cilento. In promiscuità con i comuni di Novi Velia e Cannalonga, Vallo detiene la proprietà territoriale del monte Gelbison, montagna sacra, che vanta uno dei luoghi di culto più rinomati del Meridione, il Santuario della Madonna di Novi Velia. Questo antichissimo santuario basiliano si trova a soli 20 chilometri di distanza da Vallo, ad un’altezza di 1700 m, ed è meta ogni anno di migliaia di pellegrini provenienti da ogni parte d’Italia [senza fonte].

Il 28 novembre del 2008 è ricorso il bicentenario dell’istituzione del comune, avvenuta ad opera dall’allora re di Napoli Giuseppe Bonaparte. Il toponimo originale era semplicemente “Vallo”, mentre il suffisso “della Lucania” venne aggiunto soltanto dopo l’Unità d’Italia quale richiamo forte ed esplicito alle origini storico-culturali della città, etnograficamente lucana a tutti gli effetti.

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GIUNGANO — Il centro di Giungano offre al visitatore l’immagine, quasi ferma, cristallizzata, nel tempo, della bellezza architettonica del Medioevo. La principale attrattiva è costituita dai Palazzi Signorili e dai portali, caratteristici per elementi decorativi di gran pregio. Anche prima del IX secolo d.C., data della nascita del paese, queste zone non erano completamente deserte. Infatti, nei pressi del campo sportivo, nel 1979 è stata ritrovata una tomba risalente all’etá romana.
Un’altra testimonianza si é avuta dalla battaglia combattuta nella gola di “Tremonti” tra gli schiavi ribelli di Spartaco e i legionari di Licinio Crasso, risalente al 71 a.C.

Le Origini. Giungano deriva il suo nome, secondo la tradizione, da iuncus, giunco, giuncaia.
Iuncana era l’antico nome che troviamo nei testi di autori del tardo Medio Evo. Il nome è tuttavia di origine incerta e pare assai improbabile che possa derivare da iuncus in quanto il territorio poco si presta alle giuncaie, data la sua scarsità d’acqua. Appare piú probabile che il nome possa trarre origine dalla sua posizione geografica e cioè possa derivare da iugum, gioco, e anus, ano, cioé la parte posteriore del passo o valico che dalla Piana di Paestum, attraverso la località Madonna di Loreto, in Comune di Trentinara, consentiva l’accesso all’Alto Cilento attraverso la via che si dipartiva dalla porta orientale dell’antica Poseidonia.

La tradizione vuole che la prima casa sia stata fondata da un tale Zappulli nell’anno 1003 d.c. ma nel territorio di Giungano sono stati ritrovati vari reperti risalenti all’epoca del paleolitico.
Un’altra tradizione vuole che Giungano sia stata fondata dai pestani a seguito dell’invasione saracena. Dopo la caduta dell’impero romano, vi è stato un decadimento dell’antica Poseidonia, ed una conseguente diffusione della malaria, per cui i suoi abitanti si sono rifugiati nelle localitá collinari circostantí, fra cui Iuncana.

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PISCIOTTA — La presenza dell’olio caratterizza il paesaggio cilentano e rappresenta la principale, e talvolta unica, risorsa delle popolazioni locali, tanto da divenire parte integrante della loro vita quotidiana.
L’olivo nel Cilento, sede dell’omonimo Parco Nazionale, ha radici antiche. Recenti ricerche archeobotaniche hanno documentato la presenza dell’olivo già nel IV sec. a.C.; la tradizione, invece, vuole che le prime piante fossero introdotte dai coloni Focesi, popolazione di origine greca. E l’olivo, tra i templi di Paestum e le rovine di Velia, impone la sua presenza anche ai grandi autori: “ulivi, sempre ulivi! in mezzo sono ulivi, come pecore a frotta” scrive Ungaretti (1933). Nel Cilento, non a caso, ha vissuto per molti anni il celebre nutrizionista americano Keys, il padre della Dieta mediterranea, che nell’olio di oliva trova uno dei principali alleati in quanto determina una riduzione del colesterolo serico, migliora la funzionalità dell’apparato cardiocircolatorio, protegge, con il suo corredo di sostanze fenoliche, da gravi alterazioni.

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SALERNO. Vi forniamo, infine, qualche informazione sulla magnifica città capoluogo di provincia — Salerno è una giovane città europea, una realtà dinamica, in continua trasformazione che, nell’ultimo decennio, ha visto decuplicare le proprie aree verdi. Di qui l’appellativo di “Città Giardino”.

Salerno è una città accogliente che annualmente ospita milioni di visitatori, grazie ad un clima invidiabile, alla buona qualità della vita, al buon cibo, ad una movida, diurna e notturna, sana e divertente, alle innumerevoli manifestazioni artistiche e culturali che si organizzano.

In questa sezione è illustrato il sistema dei parchi della “Città Giardino”: oasi verdi, piccole e grandi, in ogni angolo della città.
Spazi aperti adatti ad ogni tipo di esigenza, che offrono l’occasione per conoscere le antiche piante della Scuola Medica Salernitana come il Giardino della Minerva o le rare e prestigiose piante della collezione Acquaviva al Parco del Mercatello. Spazi destinati al semplice relax e al tempo libero, alla pratica di attività sportive all’aria aperta, al ristoro psico-fisico.
Numerose sono le aree destinate al divertimento dei più piccoli: il Parco Pinocchio, il parco del Seminario, il Luna Park Baby, i Giardini di via Galloppo, …
I parchi della “Città Giardino” sono spesso animati da eventi come mercatini, fiere, mostre, concerti di giovani artisti e rappresentazioni teatrali, piccoli tornei sportivi e manifestazioni artistiche e culturali d’ogni tipo.

Nei seguenti link sono descritte le aree verdi più importanti della città. Non sono comprese le tante aree pedonali realizzate tra i quartieri della città e che sorprendono il visitatore: piazzette e vicoli, viali alberati, passeggiate abbellite da aiuole e illuminate artisticamente. A tutti Voi è rivolto l’invito a scoprirne la bellezza. Buona passeggiata!

[comune.salerno.it]


 

Il Caicco organizza matrimoni (con rito religioso e rito civile), battesimi, comunioni, banchetti ed eventi di qualsiasi genere in tutto il Cilento: Castellabate, Agropoli, Capaccio, Paestum, Matinella, Giungano, Prignano, Torchiara, Rutino, Perdifumo, Vatolla, Agnone, Acciaroli, Pollica, Palinuro, Camerota, Pisciotta, ecc.

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